La chiesa di S. Caterina sorge nella parte bassa del centro abitato, un tempo “extra moenia” (fuori le mura), in una zona che già nel XIV secolo veniva denominata “terre forti”. Risale al 1500, lo stesso periodo in cui il Gagini eseguì l’artistica statua marmorea di S. Caterina d’Alessandria che venne collocata sull’altare maggiore della nuova chiesa, al centro di un arco trionfale in pietra arenaria alto 7,04 metri e largo 3,52. Nella seconda metà del XVIII secolo, la chiesa versava in precarie condizioni di stabilità e poco prima del suo crollo, avvenuto nel 1780, l’effigie della santa martire alessandrina per sicurezza venne portata nella chiesa di S. Antonio da Padova, che sorgeva accanto al monastero delle Benedettine, nei pressi della cattedrale (di queste due importanti memorie storiche oggi sussistono solamente alcune mura perimetrali di civili abitazioni). Nel 1890, in seguito alla legge di soppressione con cui lo Stato incamerava i beni delle corporazioni religiose, considerando la chiesa erroneamente facente parte del monastero come cappella annessa, la statua di S. Caterina, quella di S. Antonio da Padova di Antonello Gagini (1534), titolare dell’omonima chiesa, e un trecentesco crocifisso ligneo proveniente dalla vecchia cattedrale, vennero trasportate nel museo di Messina.
Purtroppo non si evidenziò che le sculture di S. Caterina e del crocifisso vi si trovavano temporaneamente in deposito e quindi rimanevano comunque un bene della diocesi, allora sede vacante. La chiesa di S. Caterina, cui badava una confraternita che nelle processioni teneva il quarto posto, era particolarmente cara al nostro monsignor Antonio Franco. Da un suo diario autografo risulta che vi tenne cinque sacre visite durante il governo pastorale della prelatura. I suoi biografi raccontano un episodio che conferma la devozione del Nostro nei confronti della santa alessandrina, che sarebbe apparsa in quel periodo sotto le sembianze della statua gaginesca a una donna musulmana in servizio presso una nobile famiglia luciese. Dopo averla condotta al palazzo vescovile, le mostrò il santo prelato che a dorso nudo si flagellava a sangue per ottenere da Dio la grazia della sua conversione. L’indomani, fra lo stupore di tutti, ella chiese che le venisse amministrato il battesimo.
Nel 1910, per interessamento di Felice Misiti, ebbe inizio la ricostruzione della chiesa, a distanza di ben 130 anni dall’avvenuto crollo. I lavori, però, furono sospesi durante gli anni del primo conflitto mondiale. Toccò a monsignor Ballo, vescovo di S. Lucia dal 1° agosto 1920, riprendcrne i lavori, coadiuvato da un comitato presieduto dal professore Giovanni Miceli. Così, per la Pasqua del 1926, la chiesa venne riaperta al culto e monsignor Ballo le donò una campana proveniente dalla cattedrale e un particolare organo a canne vegetali a cinque registri, costruito dal canonico Sisilli nella sua villetta alla “Murra” nella seconda metà del XIX secolo. Aveva un suono melodioso e fece parte anche di un’importante esposizione a Messina. Era situato nel coro della cattedrale e veniva suonato per accompagnare il canto durante l’ottava del Corpus Domini. Purtroppo quest’interessante opera è andata perduta.
Monsignor Ballo avviò anche la pratica per la restituzione delle sculture incamerate dallo Stato illegalmente in quanto, come abbiamo già avuto modo di appurare, non cessarono mai di essere un bene della diocesi. La vicenda si trascinò fino al 1947, allorquando, anche su interessamento di monsignor Salvatore Cambria, ispettore onorario ai monumenti della prelatura, il ministero della Pubblica Istruzione aveva autorizzato la cessione in deposito del crocifisso e del S. Antonio, esclusa la S. Caterina poiché giudicata assai interessante dal punto di vista artistico. Era appena sorta la Regione autonoma siciliana e l’assessore regionale per la Pubblica Istruzione, il messinese avvocato Giuseppe Romano, si oppose alla disposizione ministeriale. Sarebbe quanto mai opportuno che si riprendesse la questione, in modo da porre fine a un’ “appropriazione indebita” che si protrae ormai da oltre cento anni.
Attualmente la chiesa, restituita dopo recenti restauri alla comunità luciese in tutta la sua bellezza, viene retta dai frati del Terzo Ordine Regolare (TOR) della parrocchia del Sacro Cuore, dalla quale dipende. Il prospetto che dà sulla via Umberto I viene abbellito da un pennacchio decorativo marmoreo, da una finestra ogivale e da un grazioso campanile. L’interno, a unica navata, presenta al centro dell’altare maggiore un bel crocifisso che viene portato in processione il venerdì santo. Ai lati sono una copia lignea della statua marmorea di S. Caterina e una statua della Vergine. Sull’altare di sinistra un bello ed espressivo simulacro di S. Rita.
Ogni anno, il giorno dell’ Epifania, seguendo una tradizione ormai consolidata nel tempo, dalla chiesa si avvia il Corteo dei Re Magi che il popolo intende come “a prucissioni du Bambineddu u’ ghiornu du batticimu”. Per le vie cittadine sfilano nei costumi tradizionali i vari personaggi del presepe. Il Bambinelio verrà sorteggiato dopo la processione per la gioia di chi possiederà il biglietto vincente. E’ una gioia che travalica il sentimento religioso in quanto per la famiglia “scelta” dal Bambin Gesù è un segno di buona fortuna. Accompagna la processione il suono della ciaramella. Un tempo numerosi erano i pastori “ciaramiddari” che nei periodo natalizio scendevano dai monti e nelle case del paese eseguivano i motivi delle dolci nenie natalizie. Le famiglie, per l’occasione, si riunivano accanto al presepe e il suono melodioso che usciva da quello strano strumento che alimentava la fantasia dei bambini, diventava preghiera. L’attrattiva peculiare della sacra rappresentazione viene offerta però da fanciulli che, nei costumi raffiguranti i vari mestieri, recano in dono i frutti del loro lavoro. Non mancano fanciulle con fini capi di biancheria lavorati a mano che fanno parte del corredo da portare in dote per il loro matrimonio. Possiamo dire che la Festa dell’Epifania in S. Caterina conclude degnamente le manifestazioni natalizie che nel nostro centro riescono ancora a conservare un fascino particolare nel rispetto delle tradizioni.
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